Tanti papà di "Io l'avevo detto", ma certi partiti e l'economia cremonese hanno approvato e sostenuto


Caro direttore,
mi riferisco al servizio centrale de “Il Vascello”, che, in questi giorni – e non potrebbe essere diversamente - tiene la scena. Devo dar atto al Vascello e ad Antonio Leoni, mentre va crescendo l'interesse locale, forse tardivo, sulle vicende giudiziarie gravitanti attorno all'ex dominus della BPI, della chiara essenzialità con cui tali vicende sono state analizzate nell'ottica dei riflessi sulla situazione cremonese.
In particolare, mi riferisco a ciò che per me costituisce il cuore delle riflessioni: “E' a un individuo come Fiorani che l'ineffabile consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Cremona presieduto da Gosi vendette a suo tempo l'istituto di Pietro Vacchelli per “salvaguardarne il futuro”, e nonostante la campagna contraria condotta da “Il Vascello” a nome della città autentica (nel silenzio totale e persino con l'approvazione della politica e di diversi ambienti economici: ecco la Cremona trasversale inguardabile!) e circa sei mesi dopo aver affermato che per due anni la “Cremona” sarebbe stata intoccabile e autonoma allo scopo di misurare effettivamente le sue forze nell’agone finanziario.”  
Ed ancora a proposito della sede del giornale: “Non importa se il presidente è il medesimo, ovvero Mario Maestroni che dal matrimonio bancario, meglio dire dalla cessione di un patrimonio di storia, di umanità e di competenze cremonesi, ha ricavato l’ambita poltrona della BPC.
E’ del tutto evidente che le posizioni dei due personaggi, allo stato attuale e sperabilmente per il futuro, siano imparagonabili; mentre è altrettanto evidente che le riflessioni di questi giorni non possono non ricondurre alla parte avuta nella capitolazione, appunto, del “patrimonio di storia, di …”.
Cui prodest?… verrebbe da richiedersi!
E non è escluso che col senno di poi nelle prossime settimane ci sarà la ressa nel prendere le distanze dal carro del soccombente, cominciando col sentenziare: “Io l’avevo detto!”.
Si diffidi, a priori, da siffatte ricollocazioni, che ora non sono propriamente alle viste, semplicemente perché le situazioni non sono nitidamente delineate o perché è forte lo sconcerto, ma che arriveranno.
Mentre, già da subito, assodata è l’esiguità di coloro che giustificatamene sarebbero titolati ad affermare: “Io l’avevo detto!”.
Sicuramente "Il Vascello" !, anche e specie quando ricorda la incorporazione della BPC “nel silenzio totale e persino con l’approvazione della politica e di diversi ambienti economici”.
Perché così è stato.
Mi sia consentito, tuttavia, argomentare che, per quanto piccolo od irrilevante sia il movimento politico che rappresento, non si possa omologare la mia posizione a quella giustamente denunciata da "Il Vascello".
Sull’affaire Banca Popolare, nel corso degli ultimi anni, sono intervenuto, infatti, con almeno una decina di dichiarazioni e denunce quantomeno chiare, non sempre, per ricorrere ad un eufemismo, ospitate con entusiasmo dalla stampa quotidiana locale (con l’eccezione di Cronaca e de Il Vascello).
Diversi ambienti economici”, non solo hanno approvato, ma addirittura hanno capitanato un’operazione, che probabilmente, dal punto di vista di alcuni interessi individuali o categoriali, costituiva una sorta di cacio sui proverbiali maccheroni, ma che, dal punto di vista collettivo rappresentava un suicidio.
Perché, come si sa, il destino di una piccola provincia, per giunta decentrata rispetto alle grandi direttrici di sviluppo convertite alla finanziarizzazione dell’economia, non trarrebbe mai benefici dalla scelta di far dipendere l’aggancio all’innovazione dalla dipendenza da un sistema bancario scollegato dalla realtà territoriale.
Per carità di patria risparmio la riproposizione dei simpatici quadretti, rappresentati dai difensori dell’intangibilità dell’autonomia dell’istituto locale, contrapposte alle cordate antagoniste, invece, più sensibili al salvataggio del medesimo attraverso l’incorporazione, le quali facevano intravedere grandissimi affari per i soci azionisti, le cui quote sarebbero enormemente lievitate.
Da come si sono messe le cose per la massa dei soci-azionisti, possessori, senza voler far del terrorismo, di valori che risulteranno tosati dai riflessi delle vicende giudiziarie, si potrebbe comodamente arguire che indubbiamente ne trassero beneficio coloro che, difensori dell’autonomia o sostenitori dell’incorporazione, erano a conoscenza degli approdi della pratica, comportandosi (personalmente) di conseguenza.
Ma c’è stata anche la politica, quella di destra e quella di sinistra.
La prima, non insensibile al fascino dell’establishment economico, si profuse in entusiastiche valutazioni; la seconda, teoricamente più appartata ma nella realtà da tempo cooptata nel sistema, quanto meno fu silente.
Nonostante che io avessi senza equivoci fatto presente la singolarità della attiva partecipazione ad una cordata “antagonista” del massimo dirigente dell’Amministrazione Provinciale, poi eletto nel Consiglio della Banca e partecipe dei fasti degli ultimi giorni dell’impero.
D’altro lato, come avrebbe potuto essere percepita questa pagliuzza dall’establishment politico amministrativo, se al medesimo stava sfuggendo il senso della sciagura rappresentata dal venir meno, dopo quella di Soncino e di Crema, della terza ed ultima Banca Popolare della provincia?
E tra poco sulle ulteriori macerie del declino del territorio provinciale si tornerà a maledire il destino cinico e baro ed il disinteresse dei superiori livello di governo.

Giuseppe Fabemoli
Segretario provinciale PSI
espresso


Oggi il silenzio assordante di partiti, istituzioni e associazioni di categoria che plaudirono all'operazione

Così Mario Daina, segretario provinciale della Cisl: "Hanno tratto giovamento, ancora una volta, i soliti noti. A tutti gli altri non è rimasto nulla"

C'è un personaggio che non piace assolutamente ad Enrico Pirondini che ha spesso lanciato i suoi strali dal settimanale “Più"al segretario della Cisl cremonese Mario Daina.
«Al di là delle ricadute che le vicende giudiziarie legate all'arresto di Gianpiero Fiorani e di altri dirigenti della Popolare Italiana potranno avere a livello nazionale- afferma Mario Daina - credo che, a livello locale, sia da rimarcare il silenzio assordante della politica e di alcune associazioni di categoria».
Mario Daina fa riferimento a quanti(tutti a suo tempo esaltati in intere pagine del quotidiano “La Provincia”, presidente Mario Maestroni) partiti, istituzioni, associazioni di categoria che salutarono con grandi squilli di tromba la cessione della Banca Popolare di Cremona all'allora Bipielle e che oggi, invece, non emettono verbo.
Nonostante l'esplosione dello scandalo che ha investito anche il nostro territorio con la perquisizione da parte della Guardia di Finanza dell'ufficio del Direttore Generale della 'Cremona', Giovanni Vismara ”, oggi riscontiamo una cortina di piombo da parte della politica,di chi ha avvallato e sponsorizzato quella decisione, e anche da parte di coloro che vi hanno guadagnato e che oggi ricoprono incarichi di responsabilità fuori e dentro l'Istituto.
Il sindacato, da parte sua, come ben si ricorderà, aveva posto delle domande precise sui contenuti dell'operazione che ha portato alla vendita della Popolare alla Bipielle. Interrogativi che non hanno mai ricevuto risposta da chi avrebbe avuto il dovere didarle, nè allora, nè oggi. Ma le risposte alle nostre domande stanno arrivando, giorno dopo giorno, dalla Procura di Milano e dalle indagini in corso degli inquirenti.
"La vendita della Banca Popolare di Cremona è stata attuata con un'operazione tutta finanziaria -conclude Daina - che, si badi bene, non ha affatto arricchito, ma che, al contrario, ha spogliato il nostro territorio. Basta citare qualche esempio per capirlo: dopo che l'Istituto è stato venduto, ben 70 persone sono state costrette, nello spazio di un anno, a lasciare Cremona per altri posti. Per non parlare poi del fatto che tanti bravissimi dirigenti della Cremona, una volta venduta la banca, hanno preferito fare le valigie e migrare in altri istituti. Se questo rappresenta un arricchimento del territorio, beh - sorride amara mente Dama - il territorio si è certamente arricchito”.
“Decisioni come quella che hanno portato alla vendita della nostra banca dimostrano, ogni volta di più, che questa provincia si sta trasformando in un territorio di conquista. L’operazione che ha portato alla vendita della Cremona è stata un’operazione sporca che ha fatto leva sulla buona fede della povera gente. E allora, oggi, dopol’esplosione di uno dei più grandi scandali finanziari di questo Paese, gradiremmo che qualcuno, anche a livello territoriale, avesse il coraggio di dare qualche risposta. Allora i Lanzichenecchi sono passati e si sono presi quel che prendersi. E dalla vendita della Popolare di Cremona hanno tratto giovamento, ancora una volta, i soliti noti. A tutti gli altri non è rimasto nulla».

Si levano i calici, ma non tutti sono d'accordo che la acquisizione del palazzo della Banca popolare per il quotidiano "La Provincia" sia così trionfale. A guastare l'euforia esce il settimanale "L'Espresso", il quale mostra di saperne molte, anche se ignora che Maestroni è presidente sia della Banca Popolare di Cremona sia del giornale che ne ha acquisito la sede storica.

Scrive "L'Espresso" dell'8 settembre 2005:

Soldi e potere. E successo che la vecchia sede detta Popolare di Cremona a fine luglio è stata comprata dalla casa editrice del giornale locale, La Provincia. Niente di strano, in apparenza. Se non fosse che prima di tornare alla base di partenza, questo affare ha fatto un giro largo. A vendere il palazzo è stato il finanziere Chicco Gnutti, che giusto qualche mese prima aveva acquistato l'immobile dalla Popolare di Lodi, ora Popolare Italiana, guidata dal suo amico Gianpiero Fiorani.

Quest'ultimo, a sua volta, alla fine del 2003, si era aggiudicato con un'Opa in Borsa l'intera Popolare di Cremona. Sede compresa, ovviamente. Così adesso, all'ombra del Torrazzo, c'è chi festeggia perchè, in un modo o nell'altro, un pezzo importante di città è tornato in mani cremonesi. Altri invece protestano e se la prendono con la speculazione immobiliare.

In effetti, a ben guardare, si scopre che la coppia Gnutti-Fiorani ha cavalcato alla grande l'affare. Risultato: nel giro di 18 mesi la vecchia sede della Popolare di Cremona si è rivalutata del 40 per cento. E alla fine, grazie all'assist dell'amico banchiere, che è anche il suo principale finanziatore, Gnutti è riuscito a intascare personalmente un guadagno di svariati milioni di euro".

L'autore del servizio, Malagutti, scrive poi che quanto successo a Cremona non è un caso isolato ma il risultato di un copione andato in scena più volte (e confermato penalmente dai fatti di questi giorni).

" La Popolare di Lodi - aggiunge l'Espresso - ha gonfiato i valori di bilancio ricavando all'occorrenza anche sostanziose plusvalenze".

Malagutti riscostruisce anche l'antefatto della vendita a Maestroni e C.
"Vediamo com'è andata e cominciamo dalla fine, cioè dall'affare di luglio - scrive L'Espresso - A dicembre del 2003, la Popolare di Cremona valutava la sua sede 8 milioni di euro. Una stima aggiornata a valori di mercato proprio in quell'anno. Arriva Fiorani e il palazzo finisce nel gran calderone della Bipielle Real Estate, holding immobiliare della banca padana. Per l'occasione il prezzo sale a 8,6 milioni. Passano pochi mesi e arriviamo alla fine del 2004, quando la Lodi vende a Gnutti. L'affare va in porto a 9,4 milioni di euro e Fiorani, quindi, incassa una plusvalenza di ottocentomila euro. Il palazzo, però, ben presto passa di mano un'altra volta.

A luglio entra in scena la Sec, casa editrice del quotidiano La Provincia, che rileva la vecchia sede della banca locale pagando, secondo indiscrezioni, una somma non lontana da undici milioni. Con una plusvalenza del 40 per cento realizzata nell'arco di poche settimane, Gnutti ha tutte le ragioni per brindare a champagne.

A Lodi invece dovrebbero mangiarsi le mani. Se era così facile 'trovare un compratore tanto generoso, perchè si sono accontentati dell'offerta del finanziere bresciano? L'affare, in realtà, appare più complesso.

Il palazzo al centro di tanto interesse faceva parte di un pacchetto di alcune decine di immobili messi in vendita dalla banca di Fiorani. In pratica, tutto il patrimonio immobiliare della Popolare di Cremona, assorbita solo un anno prima. A dicembre del 2004, poco prima della chiusura dell'esercizio, Gnutti ha comprato in blocco quelle proprietà per un valore di una trentina di milioni di euro. Giorni caldi, quelli. In Borsa partiva la scalata occulta all'Antonveneta e il patron della Lodi aveva più che mai bisogno di serrare i ranghi dei suoi partner finanziari".

Capito tutto?

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alle ore 12:54:44 di
Dom, 18 dic 2005